La transizione ecologica di cui tutti parlano da tempo altro non è che il passaggio
da un’economia fortemente inquinante ad una economia che inquina di meno e, soprattutto,
consuma meno carburanti fossili, in primis carbone e petrolio, la cui combustione sarebbe all’origine
della produzione della famigerata Co2. Ma l’economia non può cambiare se non cambiando prima di
tutto gli stili di vita, le tecnologie che usiamo e anche le nostre abitudini, in casa come al lavoro e persino in vacanza.
Il turismo all’aria aperta e tutte quelle forme “agili” di tempo libero rappresentano la più valida delle
alternative che potremmo definire “a basso impatto ambientale”, non solo per le attività che gli
stessi campeggiatori svolgono ma anche per l’insieme della filiera:dalle strutture ricettive ai consumi energetici delle stesse. Perfino le aree più grandi, attrezzate e frequentate sono meno “energivore”
e più sostenibili rispetto ad altre strutture ricettive.
Soprattutto in tempi di pandemia abbiamo visto come il turismo all’aria aperta offre una maggior
sicurezza. Caratteristica questa, reale o percepita che sia, destinata ad rimanere anche quando il settore sarà tornato alla normalità. Come riportato nel titolo di un’intervista del Sole 24 Ore realizzata l’estate scorsa al neo-presidente nazionale di FAITA FederCamping, Alberto
Granzotto: «Camping e villaggi, la pandemia spinge il turismo all’aria aperta».